La televisione è morta o la televisione ha ancora un futuro?
La nascita della TV ed un po di storia
Flavia Colombo Rai
Erano le 11 di domenica 3 gennaio 1954 quando gli schermi si illuminarono sul volto di Flavia Colombo, la prima annunciatrice televisiva italiana che sorridente dichiarava: “La RAI Radiotelevisione Italiana inizia oggi il suo regolare servizio di trasmissioni televisive”.
La televisione a colori
il 10 febbraio 1977 la RAI iniziò a trasmettere a colori. L’avvento del colore ebbe un effetto dirompente sul sistema, cambiando radicalmente il modo in cui l’esperienza televisiva veniva vissuta. La novità principale riguardò il mondo della pubblicità. Non fu un caso, infatti, che proprio nello stesso anno si interruppero le trasmissioni di “Carosello”, il precursore della pubblicità televisiva, che il primo gennaio 1977 mandò in onda il suo ultimo spot condotto da Raffaella Carrà. Fu allora che gli spot televisivi vennero utilizzati “interrompendo le trasmissioni televisive.
L’avvento del colore coincise con la nascita delle prime televisioni commerciali che si moltiplicarono presto in tutto il paese.
Mediaset
Nel 1974 si aprì un percorso giuridico che, nel giro di pochi anni, portò alla fine del monopolio pubblico nel settore televisivo. Il nome che spiccò su tutti gli altri fu quello di Silvio Berlusconi, che nel 1980 diede vita al network “Canale 5“, che arrivò presto a controllare l’80% del mercato televisivo. Nel 1993 il gruppo di Silvio Berlusconi quotò in borsa il gruppo “Fininvest” che prese il nome di “Mediaset”.
La pay TV
La pay tv prese vita in Italia nel 1990 con Tele+ controllata da Silvio Berlusconi, Vittorio Cecchi Gori, Leo Kirch ed altri soci.
Il 29 agosto1993 – Stet fonda Stream per la fornitura di servizi multimediali e interattivi attraverso la nascente rete in fibra ottica della SIP – Società Italiana per l’Esercizio delle Telecomunicazioni nota con il nome di Progetto Socrate (acronimo di Sviluppo Ottico Coassiale Rete Accesso Telecom). Stream che iniziò le sue trasmissioni via cavo e sugli schermi di pochi fortunati iniziarono le trasmissioni esclusive articolate intorno a generi di riferimento.
Tele+ e Stream si sono poi fuse in Sky Italia passate sul satellite hanno offerto al telespettatore un ventaglio di nuovi canali tematici: documentari, cartoni, cinema, lo sport ed il calcio, che è stato la chiave per il successo delle pay tv.
Sky
Sky Italia nacque nel 2003 dalla fusione di News-corp tra Stream e Tele+. Sky in quanto televisione a pagamento è focalizzata a mantenere alto il numero degli abbonati e ridurre il più possibile il tasso di abbandono. Questa impresa si sta rivelando sempre più ardua a seguito dell’entrata in campo del digitale terrestre e delle piattaforme IPT. In questo contesto di cambiamento la minaccia più grande per Sky sembra provenire dalla rete. Netflix, Amazon, e Hulu offrono agli utenti contenuti premium ad un prezzo più basso. Questo fattore rappresenta una minaccia diretta, portando il broadcaster a porre maggior enfasi sui contenuti sportivi i quali hanno un costo rilevante, il che spinge l’emittente a rivalersi sul cliente, alzando il prezzo dell’abbonamento, perdendo quote di mercato.
La televisione oggi e nel futuro
Ora che ci siamo ormai convinti che non si può pagare più il canone alla Rai, i nostri governanti, per evitare ulteriori evasioni nell’abbonamento televisivo, lo hanno inserito nella bolletta elettrica.
Ormai è tutto su Netflix o in rete e nel momento del bisogno (la finale di X-Factor o il trono di spade) c’è sempre un amico pronto a prestarci la sua password. Di questi tempi si condividono gli accessi alle piattaforme web.
Oggi siamo talmente bombardati da fatti, notizie, da distrazioni e offerte che il tempo televisivo si è dilatato e disperso. Potrei definirla una relatività del tempo televisivo. Se calcolate che in un anno solare ci sono almeno due stagioni tv, capirete che in dieci anni della nostra vita ne sono passati quasi venti di televisione. Ma la televisione non è più il centro della nosta giornata o del nostro interesse.
Media per età
La televisione per il pubblico dei 65enni rimane un medium autorevole, anche se magari qualcuno migra ad una nuova “nuova” versione di tv come lo sono i canali all news. Altri invece sono fossilizzati alle vecchie trasmissioni come DomenicaIn o il varietà del sabato sera. Di recente mi sono trovato a casa di amici che avevano la TV accesa su Rai1 e mi sono accorto di quanto il tempo non sia passato. Tutto nelle tv nazionali è rimasto uguale ed i programmi sono sempre gli stessi di 30 anni fà.
Diverso è il discorso per i “quarantenni” o i “ventenni”, per loro è evidente la perdita di centralità della televisione in quanto “oggetto situato nel centro del salotto”. La televisione è in via d’estinzione e non più strategica. Per il pubblico più giovane la tv è “uno dei display” a disposizione della casa, anche per le sue dimensioni, per la sua qualità di visione. Potremmo dire per il “peso” dell’immagine, inteso tecnicamente. Non è un caso che molti degli abbonati a Netflix preferiscano l’abbonamento HD che consente la visione sul “televisore” ormai sempre più smart e la visione ad alta definizione. La qualità dell’immagine fa la differenza anche nella percezione di autorevolezza.
La televisione è ormai una un’estenuante monotonia, un anestetico per i popoli… mi viene in mente che Karl Marx disse più o meno così: “la religione è l’oppio dei popoli”. La religione viene considerata da Marx l’ oppio dei popoli in un periodo socio-economico nel quale si viveva in una società alienata e sofferente che cerca illusoriamente nell’ aldilà ciò che non può avere sulla terra. A cosa vi fa pensare…?
Facebook ed i social network
Su i social network ci sono le fake news? Ci sono gli alternative facts? Niente di ciò che passa (o nasce) attraverso la Rete è credibile? Siamo nell’èra della post verità? e in tutto questo, la cara, vecchia televisione, il medium per eccellenza che ha determinato gli ultimi cinquant’anni delle nostre vite sociali e collettive, determinato costumi consumi e politica, che fine farà? Sarà un soprammobile nel salotto della popolazione anziana?
Un device non strategico per vederci con miglior qualità qualche serie tv, anziché ricorrere all’iPad? O per le partite di calcio? E la credibilità della sua informazione, incalzata dai ritmi e dalla pluralità dei social network, crescerà o diminuirà?
L’Italia ha scoperto il Chromecast, la smart tv, le meraviglie di quella che in America era la cable, ma erano anche gli anni ’90. “Oggi si investe sulle piccole reti digitali, il futuro è lì”, si origlia agli aperitivi milanesi.
La Rai e le televisioni locali
La Rai è agonizzante… La RAI, dal 2012 al 2015, ha subito un calo del 10% per RAI 1, del 20% per RAI2 e del 22% per RAI3 sui telespettatori medi in prima serata, la fascia di punta (dalle 20:30 alle 22:30, dati Auditel). E’ successo pure con il cinema, anche se ha fatto salire la qualità delle produzioni, è uscito “La La Land” e gli americani si sono ricordati quant’è bello sedersi in sala a guardare il tip tap. Figuriamoci noi italiani quando sullo schermo c’è Maria De Filippi.
Nessuno è più “affezionato” alla Rai o a Mediaset o crede a una cosa perché “l’ha detto il Tg”. Ma crede o dà fiducia a questo o quel giornalista. La forza della televisione è legata ad un brand che non è “tutta la televisione”.
Tv8 coi suoi rigurgiti democratici della fu La7, sfonda il tetto del 2 per cento, mentre la rampantissima Italia1 in certe sere d’inverno arriva a stento al 3.
Le televisioni generaliste arrancano, le locali sono morte durante il passaggio al digitale terreste.
Tutto vero, tutto giusto. E però sono tutti ancora qua ad aspettare Sanremo. La post verità è colpa di Facebook, che è colpa dei salotti televisivi, ma quanto ci piace dibattere sulla crisi del talk politico. Il varietà è morto, ma twittiamo davanti alla prima Belen Rodriguez che passa.
L’autorevolezza della tv è minacciata dalla velocità. Ma la salvano i brand credibili
La televisione non è più “strategica” rischia di essere inghiottita dalla velocità di internet e dei social media. Facebook e le fake news, siamo passati dalla post verità alla verità dei post. Poi ovviamente c’è un altro aspetto, il fattore tempo. La velocità di comunicazione che è a vantaggio dei nuovi media, dei social.
Ma il ruolo centrale nell’universo informativo è dato dall’equilibrio tra due fattori: il “peso” spaziale dell’immagine e la velocità di aggiornamento. Potremmo dire la velocità di “refresh” delle notizie.
E in questo la tv offre ancora il mix migliore. Certo, ci sono media più veloci, ma questo non uccide necessariamente la tv. E infatti, la televisione anziché soccombere si modifica, li ingloba per quanto possibile. Potremmo dire: li “ri-media”, ne fa un suo diverso utilizzo. Basti questo esempio: per trovare autorevolezza, la tv fa le rassegne stampa chiamando in causa i giornali cartacei. Per attualizzarsi, per il “refresh”, invece si affida all’aggiornamento dei social.
Per questo credo che la tv mantenga ancora un ruolo centrale, pur nella mutazione dei device e dei consumi. Certo, deve lavorare su di sé. Bisogna premettere che un problema esiste: la velocità esagerata che l’informazione ha raggiunto rende in moltissimi casi troppo difficile la verifica, che è una catratteristica fondamentale del giornalismo.
I grandi giornalisti televisivi americani lo denunciano da tempo, anche se da noi tendiamo a non accorgergercene: l’accorciamento della catena di controllo rende l’informazione più incerta, più sottoposta a errori. Un tempo un servizio veniva “passato”, montato, presentato. Adesso un inviato scende dall’elicottero, accende la telecamera e va in onda. C’è una rapidità necessaria e richiesta dal pubblico, imposta da altri media. Ma l’autorevolezza del mezzo in quanto tale tende a risentirne.
Dall’altra parte, bisogna sottolineare che l’autorevolezza della televisione, che comunque non è più il medium dominante delle nostre società, si appoggia da tempo su altro: sulla credibilità del conduttore, o di quel giornalista, sul suo essere un “brand”, e sull’affezione che lo lega al suo pubblico. Nessuno è più “affezionato” alla Rai o a Mediaset, o crede a una cosa perché “l’ha detto il Tg1”. Ma crede, o dà fiducia, a questo o quel giornalista, al massimo a questo o a quel format. La forza della televisione è legata a un brand che non è “tutta la televisione”. In secondo luogo, io credo che i media si sommano, non si elidono. E’ successo sempre così. Si credeva che il cinema avrebbe ucciso il teatro, che la televisione avrebbe ucciso la radio.
Il futuro della televisione
«Il sistema televisivo negli ultimi anni ha perso il 40% del suo fatturato e di questo 40%, almeno un miliardo e mezzo di euro se lo porta via Google», ha detto Confalonieri. Oggi prevedere il futuro consiste nel registrare con distacco le tendenze già in atto. Ogni tecnologia ha già in sé elementi che portano in una precisa direzione. Si tratta di svilupparne le implicazioni. Per quanto riguarda la televisione, possiamo vedere il futuro da due opposte prospettive. La prima, quella tecnologica. La digitalizzazione dell’informazione ha prodotto una convergenza tra i media che non ha precedenti. Televisione, telefonia, computer si sono fusi in una sintesi a cui è difficile attribuire un nome specifico.
Questa sintesi e questa interazione di media si può chiamare ancora televisione? E’ come se a un antropologo fosse stata data la possibilità di prevedere il futuro della scimmia. Il futuro della scimmia è l’uomo. Ma l’uomo è ancora una scimmia? Se vogliamo prevedere il futuro della televisione a partire dalle sue evoluzioni tecnologiche, dobbiamo abituarci all’idea che questo modello di televisione abbia ben poco in comune con la televisione generalista così come noi la conosciamo. La televisione tradizionale si basa sulla passività dello spettatore, che deve accettare i contenuti che gli vengono imposti e deve accettare altresì il palinsesto, cioè le modalità e i tempi in cui questi contenuti possono essere consumati e condivisi. La digitalizzazione ha rovesciato l’unilateralità del rapporto favorendo il consumo su richiesta.
Netflix
Il futuro prossimo della televisione è rappresentato da Netflix o da ciò che verrà in un prossimo futuro. Le tradizionali televisioni, anche a pagamento, ogni giorno operano come in una mensa aziendale, suggeriscono ai loro utenti la carta del giorno, un menu ristretto obbligato. Netflix si presenta invece come un magazzino sconfinato da cui attingere. Netflix rappresenta per lo spettatore il raggiungimento dell’indipendenza nei confronti del medium televisione. L’abolizione del palinsesto è in qualche modo l’abolizione di una tutela, della “fascia protetta”. Al contrario l’esigenza di raggiungere il pubblico più vasto imponeva alle produzioni di fiction della televisione-servizio pubblico, un linguaggio elementare unito a contenuti ritenuti edificanti.
La tv on demand è la fine di biografie su santi, carabinieri, eroi nazionali e programmi di intrattenimento demenziali, sempre uguali da sessanta anni di televisione.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo:
Il presente sito Web archivia cookie sul computer dell'utente, che vengono utilizzati per raccogliere informazioni sull'utilizzo del sito e ricordare i comportamenti dell'utente in futuro. I cookie servono a migliorare il sito stesso e offrire un servizio più personalizzato, sia sul sito che tramite altri supporti. Per ulteriori informazioni sui cookie, consultare l'informativa sulla privacy e la cookie policy.
Se non si accetta l'utilizzo, non verrà tenuta traccia del comportamento durante visita, ma verrà utilizzato un unico cookie nel browser per ricordare che si è scelto di non registrare informazioni sulla navigazione.Ok
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.